Alcuni anni fa, nel corso di uno stage che organizzai per conto dell’Associazione Taoyinitalia, rimasi profondamente colpito dalle parole dell’Insegnante Olivier Chouteau, che disse: “L’arte del pugno può essere assimilata alla metafora del fiore di loto. Come questo fiore, essa affonda le sue radici nel fango, in ciò che di peggiore ha prodotto la storia dell’umanità: la guerra. Al tempo stesso, come questa pianta, dispiega il suo tronco nell’acqua alchemica della trasformazione, dove oscuro e chiaro si mescolano e lascia sbocciare un fiore candido e proteso verso ciò che vi è di più sottile: il cielo.”
Son tornato spesso a meditare su questa immagine così evocativa, e nella pratica vi trovo tutt’ora sempre nuove conferme.
Ritengo infatti che in una Scuola tradizionale l’Arte del Pugno (wushu o gongfu) abbia questa stessa valenza che va molto oltre la sola efficacia applicativa in combattimento.
Nella tradizione cinese antica infatti il wushu ha un retroterra culturale immenso, e condivide gli stessi riferimenti filosofici, energetici e spirituali delle pratiche cosiddette “interne” come il daoyin fa qi gong e non solo. A tal proposito il mio Maestro Georges Charles ama ripetere che tra “interno ed esterno (wushu) passa un solo capello”. Questo non significa annullarne le rispettive caratteristiche in una identità troppo semplicistica.
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L’ha ribloggato su Scuola Libertaoe ha commentato:
Ben lungi dall’essere inattuali, le arti marziali tradizionali hanno un grande potenziale nella cura del corpo, l’autodifesa, l’elevazione personale.
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